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La parola della settimana è "feccia" (di Massimo Sebastiani)

La parola della settimana è "feccia" (di Massimo Sebastiani)

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06 giugno 2020, 09:09

Redazione ANSA

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Parola della settimana "feccia" - RIPRODUZIONE RISERVATA

Parola della settimana "feccia" - RIPRODUZIONE RISERVATA
Parola della settimana "feccia" - RIPRODUZIONE RISERVATA

FECCIA Chissà a quali letture si è ispirato o a quali discorsi o canzoni o anche dialoghi di film, come quello di Il matrimonio del mio migliore amico in cui Julia Roberts si definisce feccia, avrà pensato Donald Trump prima di scoccare l’ennesimo dirompente cinguettio via Twitter, quello in cui ha definito scum, cioè appunto feccia, chi ha saccheggiato New York cavalcando l’onda lunga della protesta seguita all’omicidio di George Floyd a Minneapolis dopo il fermo violento da parte di quattro agenti di polizia. In ogni caso Trump, che per la terza volta, dopo ‘codardo’ e ‘muro’ ci offre lo spunto per la parola della settimana, sceglie quell’espressione con un intento molto preciso: per lui i dimostranti violenti che hanno spaccato vetrine sulla Fifth Avenue appartengono agli strati più bassi di qualunque scala di valori si voglia concepire. E infatti la accosta a tutte le altre forme di Lowlife, cioè essenzialmente di vita criminale. Dove le altre forme sono i saccheggiatori, i teppisti e la sinistra radicale. In questo senso l’espressione inglese scum ha anche il significato gentaglia, canaglia, spazzatura, farabutto, carogna, schifoso. Insomma, l’intento è chiaro, il significato piuttosto univoco.

 

Ascolta "La parola della settimana: feccia (di Massimo Sebastiani)" su Spreaker.

 

 

D’altra parte l’origine della parola non lascia spazio a dubbi: deriva dal latina faecea che è l’aggettivazione di faex-fecis e indica la parte più grossa e certamente la peggiore, la meno nobile, di cose liquide o viscose e che rimane sul fondo di un contenitore. Quindi un sedimento, una posatura. La radice, è appena il caso di notarlo, è la stessa di feci, cioè escrementi. Ma dalle parole, dalla loro storia e dalle loro trasformazioni abbiamo già imparato più volte a capire quanto sia vera la considerazione che Walt Whitman aveva fatto per gli umani: ‘Mi contraddico? Sì perché sono vasto e contengono moltitudini’ è l’aforisma molto citato e che ha avuto non poco fortuna. Vale la pena di ricordare almeno un altro poeta americano, il premio Nobel Bob Dylan, che proprio poche settimana fa ha pubblicato un nuovo brano con questo titolo, I Contain Moltitudes, e Ed Yong, giornalista scientifico di The Atlantic, nobile rivista fondata nel 1857 tra gli altri da Ralph Waldo Emerson e diventata anche un importante sito internet di informazione rigorosa e divulgazione indipendente; Yong ha pubblicato un libro con questo titolo, ‘Contengo moltitudini’, e quelle di cui parla lui sono le immense colonie di batteri che ci abitano e soprattutto ci fanno vivere letteralmente, ci proteggono dalle malattie oppure le favoriscono, condizionano il nostro comportamento e sono la parte determinante di quello che è ormai universalmente riconosciuto come il secondo cervello, cioè l’intestino.

Tra loro si combatte da sempre la gigantesca battaglia tra i buoni e i cattivi: è una metafora potentissima della realtà ma anche un modo introdurci all’altra faccia, perché come abbiamo detto c’è sempre un’altra faccia, della parola feccia (e scusate il gioco di parole involontario). Che ha un ruolo determinante, in senso positivo, su uno dei prodotti più nobili dell’uomo, il vino e in particolare quella produzione che più di tutte associamo al lusso, all’eleganza, alla raffinatezza, all’esaltazione del gusto: i vini spumanti (scum significa anche schiuma) e ovviamente lo champagne. Lì la feccia (in francese lie) ha un ruolo decisivo nella realizzazione di tutti i vini spumanti, da quelli metodo Charmat (cioè il prosecco) a quelli metodo classico come il Franciacorta, Trento doc, Oltrepo’ pavese e appunto champagne. Il lievito per la seconda fermentazione non muore, al contrario di quello che spesso si dice, ma perde la capacità di riprodursi e nutrirsi e per questo si parla di lisi (cioè dissoluzione) dei lieviti, ma rimane aggrappato alla vita grazie a quella minima percentuale di ossigeno che resta nella bottiglia e svolge un’azione determinante perché ‘mangiando’ per così dire quell’ossigeno non solo impedisce che vada ad ossidare il vino, generando sentori poco piacevoli (lo protegge come un mantello di Batman), ma aggiunge aromi, struttura e corpo. Dunque anche gli ultimi, anche gli scarti, anche i residui hanno vita. E che vita. Viene in mente un altro poeta, Fabrizio De Andrè, quando canta in Via del Campo che ‘dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fiori’.

 

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