Ritrovato e pubblicato il diario
di prigionia di Orazio Frilli, storico preside del Liceo Dante
di Firenze. Catturato sul fronte greco nel '43 ha raccontato 700
giorni di prigionia in tre taccuini rimasti poi in cantina per
oltre 60 anni. 'Torneranno i giorni nostri' (Medicea, pp. 288,
18 euro) è una testimonianza straordinaria che riemerge per la
scoperta casuale del figlio Ennio, sgomberando la cantina, di
una scatola con tre taccuini scritti fittissimi, uno dei quali
acquistato alla cartoleria Marchidis di Rodi nel 1943. Qui il
babbo Orazio ha documentato tutto il suo lungo periodo di
prigionia, dall'8 settembre 1943 all'agosto del 1945. L'emozione
è fortissima perché, come spesso accade, i prigionieri al
ritorno hanno raccontato poco o nulla in famiglia. La scrittura
è fittissima, quasi un codice criptato ma si riconosce subito
l'impianto: un diario pressoché giornaliero sotto forma di
lettera alla madre e alla fidanzata Silva. Insieme ad Ennio si
mettono a lavoro Francesco Mandarano e Lucia Cacciacarro,
trascrivendo tutto. Il risultato riporta la testimonianza delle
sofferenze subite, l'incertezza all'indomani dell'Armistizio, la
volontà immediata di resistere e non andare a combattere per
l'ex alleato e quindi la deportazione come Internati Militari
Italiani nei campi di prigionia tedeschi. Due lunghi anni di una
discesa agli inferi tra gli Stalag di Küstrin, Sandbostel,
Fallingbostel e Münster. Ma è qui che Frilli si salva. Sorretto
da una grande fede religiosa e da una solida cultura classica
(nel '40 era già laureato in lettere antiche), animato da un
grande amore per Silva e un desiderio inesauribile di tornare,
nel diario instaura con la fidanzata e la madre un dialogo in
forma di lettere. Orazio Frilli, ufficiale di artiglieria,
impara il tedesco, recita poesie, pensa all'avvenire, prova a
mantenersi vivo fino all'avanzata degli Inglesi, che danno la
liberazione all'inizio del '45 ma non la libertà. La prigionia
durerà ancora dei mesi. Poi nell'agosto '45 il ritorno a casa in
tradotta insieme ai pochi compagni superstiti. Un'unica parola
per il ritorno a Firenze, "Scendiamo…", dopo quasi due anni e
oltre 6.000 chilometri percorsi.
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