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Lessico Familiare in inglese, New Yorker "un capolavoro"

Lessico Familiare in inglese, New Yorker "un capolavoro"

Terza traduzione inglese per il libro della Ginzburg

NEW YORK, 28 giugno 2017, 09:54

di Alessandra Baldini

ANSACheck

Dal sito del The New Yorker - RIPRODUZIONE RISERVATA

Dal sito del The New Yorker - RIPRODUZIONE RISERVATA
Dal sito del The New Yorker - RIPRODUZIONE RISERVATA

Come si dice "negrigure" in inglese? Le parole del "Lessico Famigliare" di Natalia Ginzburg tornano a vivere in una nuova traduzione di Jenny McPhee che ha riportato in libreria come "un capolavoro" il romanzo-memoria della scrittrice italiana uscito in Italia nel 1963 e vincitore quell'anno del Premio Strega.
    Il New Yorker ha pubblicato una recensione entusiasta del Lessico e della sua nuova versione, la terza in inglese in 50 anni, pubblicata dalla New York Review of Books nella sua collana "Classics": una versione dalla lingua contemporanea, pensata per il popolo di lettori e lettrici che ha imparato ad amare l'Italia di Elena Ferrante nella traduzione dei "romanzi napoletani" curata Ann Goldstein. Il settimanale non ha mezze misure. Il libro della Ginzburg è un "capolavoro", scrive Cynthia Zarin che nel titolo della recensione, "Hiding in Plain Sight: Natalia Ginzburg's Masterpiece" allude sia alla vicenda della scrittrice torinese, che si è nascosta "in piena vista" fino ad almeno metà del libro, oscurata da nomi veri e personaggi storici a cui la famiglia era legata come Cesare Pavese e Adriano Olivetti, Filippo Turati e Anna Kuliscioff, accanto a fratelli e sorella, amici, madre e soprattutto il padre Giuseppe Levi, il cui intraducibile lessico familiare viene tradotto con idiomi "dribbledrabs" o "doodledums" per l'arte moderna incomprensibile, o "nitwits" e "nitwitteries per gli sciocchi e le loro azioni. "Old biddies", "mulligrubs", "to motturize". Parole e frasi che si accumulano nel libro creando il dizionario privato della famiglia Levi: "Una di quelle frasi o parole ci farebbe riconoscere l'uno con l'altro, noi fratelli, nel buio di una grotta, fra milioni di persone. Quelle frasi sono il nostro latino, il vocabolario dei nostri giorni andati, sono come i geroglifici degli egiziani o degli assiri-babilonesi, testimonianza di un nucleo vitale che ha cessato di esistere, ma che sopravvive nei suoi testi, salvati dalla furia delle acque, dalla corrosione del tempo". La traduzione della McPhee (scrittrice e traduttrice, con a suo carico tra l'altro testi di Primo Levi e "Canone Inverso" di Paolo Maurensig) e' la terza in inglese per "Lessico Famigliare": a cura di D.M. Low, usci' nel 1967 a Londra con il titolo di Family Sayings ("Non una parola sprecata", scrisse all'epoca l'Economist), per essere poi riedito come "The things we used to say" da Judith Woolf nel 1997. Tra le sfide, particolarmente ardua per un pubblico americano, quella di trasporre le "scelte deliberate" dell'autrice di ritrarre un padre che chiamava i figli "negri": una parola gergale, nel contesto del libro, ma come tradurla in un contesto linguistico che la sovraccarica di precise valenze razziste? "Prima di me c'è chi ha usato yahoos", ha spiegato la McPhee: "o chi lo ha mantenuto tra virgolette, lasciandolo in italiano". Lei e' rimasta fedele: "Negroes" and "negroism".
   

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