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Sonia Bergamasco moderna Mirandolina goldoniana per Latella

Sonia Bergamasco moderna Mirandolina goldoniana per Latella

'Locandiera' psicologica e sociale a 50 anni regia di Missiroli

ROMA, 18 aprile 2024, 17:55

Redazione ANSA

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- RIPRODUZIONE RISERVATA

(di Paolo Petroni) A proposito di Mirandolina, la ''Locandiera'' goldoniana, a un certo punto si è pensato che ''al posto della bonimia, del benpensantismo, della civetteria, del garbo, della misura'' fosse meglio leggere ''ambiguità e sesso, psicologia e denaro, lacerazioni esistenziali e dialettica di classe'', come scriveva nelle sue Note di Regia Mario Missiroli nel 1972, usando parole che ben si adattano anche all'allestimento che ora firma Antonio Latella e che, con Sonia Bergamasco protagonista, prodotto dallo Stabile dell'Umbria, ha debuttato applaudito al teatro Argentina, dove si replica sino al 28 aprile, andando poi in tournée. Certo, al posto dei vari spazi della vecchia locanda délabré piena di oggetti e utensili, luogo realistico d'un tempo passato in cui accade il nuovo, di quello spettacolo di giusto 50 anni fa, per Latella Annelisa Zaccheria costruisce una scena unica, essenziale, odierna e spoglia dove il gioco delle parti del Conte, del Marchese e del Cavaliere con Mirandolina e Fabrizio sembra volerlo presentare come la dimostrazione di un teorema, con quel tocco naturalistico costituito dal cibo cotto in scena e il cui profumo si spande per il teatro. Più moderna e complessa, più psicologicamente giocata anche nelle sue insicurezze e volere e non volere rinunciare alla propria sbandierata indipendenza e sposarsi l'uomo, pur amato, ma scelto dal padre, per non apparire indifesa davanti al mondo e alla propria voglia femminile di sfidarlo, è la locandiera ottimamente resa da Sonia Bergamasco. Il meglio lo dà forse proprio nelle diverse sensazioni al momento di darsi a Fabrizio, del cedere ma cercando di restare se stessa, mentre nel ricordo era ben più rigida e fredda nel suo raziocinare sul proprio agire, meno seducente, quella, allora, di Annamaria Guarnieri, con Fabrizio che alla fine dava dei giri di chiave alla porta della locanda, come ha sottolineare la situazione oramai di prigioniera della donna. In questa modernità, nella maggiore complessità di Mirandolina, che rispecchia poi il testo di Goldoni, col suo cedere psicologicamente ma mai fisicamente, interessata certo al denaro ma mai da ottenere a qualsiasi condizione, anzi pronta a rifiutare regalie con cui vorrebbero comprarla, ma abilmente poi disposta a cedere (''per non disgustare il signor Conte, gli prenderò'') in maniera da non dover nemmeno ringraziare, mostrandosi costretta dal non far arrabbiare un cliente. E più garbatamente moderna e coinvolta non solo programmaticamente nel modificare il rapporto solo economico materiale che il Cavaliere di Ludovico Fededegni ha con lei, incrinando ogni difesa di quell'uomo che odia le donne e cadrà poi nella sua rete con fin troppo poco ritegno. Una modernità che viene riproposta anche nei costumi (di Graziella Pepe), ma di cui non si capisce la sciatteria, con quelle giacche su pantaloni da tuta o gli infradito ai piedi quando non gli stivaletti di Mirandolina con tacco davanti e dietro. Comunque ecco che settecentescamente la nuova borghesia bottegaia e imprenditoriale vince e fa fuori la nobiltà decaduta del vischioso Marchese di Giovanni Franzoni o quella boriosa e arrogante del Conte di Francesco Manetti come accade nel teatro per molti versi rivoluzionario di Goldoni, maestro di dialoghi, qui meritoriamente riproposti nella loro integralità, tuttora vivi e ben ritmati con cui rivelare le sfaccettature dei personaggi. Latella carica teatralmente di comicità le figure maschili, in parte anche quella del Fabrizio di Valentino Villa, a contrasto con l'umanità di Mirandolina, e ne sottolinea il ridicolo anche con la risata complice e genuinamente rivelatrice delle due commedianti (Maria Cortellazzo e Marta Pizzigallo), attrici che non riescono a fingere sino in fondo nella vita, ma anche loro sanno bene come rigirarsi gli uomini.
   

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