ROMA - In Italia non sarà possibile aumentare di molto il numero di pazienti trattati per epatite C con i nuovi 'superfarmaci' senza mettere sotto stress il sistema, ma si può arrivare a 50mila l'anno rispetto ai 35-40miula attuali. E' l'opinione di Stefano Fagiuoli, direttore dell'unità complessa di gastroenterologia, epatologia e trapiantologia dell'ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo.
"I 35-40mila pazienti attuali li possiamo fare al solo costo dei farmaci, senza modificare particolarmente il sistema che ha una professionalità straordinaria - ha spiegato a margine del congresso Easl di Amsterdam -. I margini per aumentare non sono ampi, non si può arrivare a 100mila ma a 50mila sì".
La previsione, ha affermato l'esperto, è di arrivare a 250-300mila pazienti trattati nei prossimi anni. "L'innovazione principale portata dai nuovi farmaci è che ormai tutti possono essere trattati, non esistono più gruppi per cui non ci sono terapie - spiega Fagiuoli -. Ora lo strumento per curare lo abbiamo, servono solo politiche adeguate".
Ad aiutare a trattare un numero elevato di pazienti è arrivato anche un farmaco pangenotipico, i cui dati nel 'real world' sono stati presentati proprio al congresso. "Se si consolida come una terapia efficace - sottolinea l'epatologo - concettualmente si avvicina quasi a una 'vaccinazione', nel senso che diventa una terapia facile e maneggevole che chiunque puó usare".
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