ROMA - L'eliminazione del virus dell'epatite C nel mondo, Italia compresa, è possibile, ma per riuscirci bisogna trattare le popolazioni difficili da trovare, come i carcerati o i migranti. Lo hanno affermato gli esperti durante un media event organizzato da Gilead.
"Grazie ai nuovi farmaci siamo passati dal chiederci 'se' potevamo trattare un paziente a 'quando' - ha sottolineato Stefano Fagiuoli dell'ASST Papa Giovanni XXIII di Bergamo - una rivoluzione a cui ora manca solo il 'reaching out', andare cioè a cercare tutte le persone infette per trattarle".
In Italia il numero di malati di epatite C sono tra 250.000 e 600.000. "Di questi, si ritiene che il 20% non sappia di esserlo - ha affermato Salvatore Petta dell'Università degli Studi di Palermo -. L'obiettivo dell'eliminazione del virus dal nostro Paese non potrà essere raggiunto fino a quando anche queste "sacche" di malati, pazienti presso i Sert, detenuti, coinfetti - non verranno curate. Allo stato attuale non serve uno screening di massa ma un'azione con i medici di medicina generale per individuare i soggetti suscettibili, capire le ragioni di un eventuale rifiuto delle cure e spiegare i progressi compiuti".
Tra le armi a disposizione contro il virus da poco è stata approvata anche nel nostro paese la prima terapia pangenotipica, messa a punto proprio da Gilead. "Un modo migliore per festeggiare i 30 anni di vita per Gilead non può essere che l'accordo con Aifa - ha spiegato Valentino Confalone, da pochi giorni general manager per l'Italia -. L'accordo permetterà a tutti gli attori del Ssn finalmente di poter dare una reale possibilità di realizzare l'obiettivo di eradicare l'epatite C dall'Italia nei prossimi 20 anni".
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